CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA DISTONIA FOCALE

© Alessandro Bares, 2019

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La distonia focale condivide con le altre difficoltà il cui nome inizia con dis- (dislessia, disfasia, discalculia, disortografia e cosi via) una certa confusione riguardo alla propria individuazione, definizione e ricerca di cause ed origini. Dal momento che la scienza ufficiale non è ancora giunta ad una definizione univoca di tali difficoltà, infatti, molti ne parlano apertamente come di “malattie immaginarie”, di “fissazioni”, “paranoie” o altri termini dispregiativi, che lasciano intendere che chi ne è colpito in qualche modo utilizzi questo “handicap immaginario” per sottrarsi al normale lavoro scolastico (per quel che riguarda dislessia, discalculia e disortografia diagnosticate in età scolare), o per nascondere inconfessabili incapacità e pigrizie. Nel background di tale giudizio (come peraltro in ogni giudizio) c’è la concezione tipicamente europea del saper fare come “merito” e del non essere in grado di fare come “colpa”, secondo un diffuso dualismo culturale che divide la realtà in “bene” e “male”.

Tutte le opinioni con le quali sono venuto a contatto recentemente (non parlo di vent’anni fa, quando circolava l’idea che si trattasse di una malattia degenerativa!) sono concordi su due punti:

– la distonia non è una malattia ma una difficoltà

– la distonia ha a che fare con il sistema nervoso, ma non si tratta di una malattia neurologica. Prima di parlare di distonia generalmente si consiglia almeno una elettromiografia, che escluda qualsiasi danno a carico del sistema nervoso periferico. Allo stesso modo non si può parlare di dislessia se non in presenza di un quoziente intellettivo medio-alto.

Cosa distingue una malattia da una difficoltà? In maniera estremamente semplificata, possiamo dire che una malattia è una condizione determinata da un agente patogeno che danneggia una parte del corpo e che si risolve rimuovendo l’agente patogeno, a meno che esso non abbia provocato danni tali che il corpo non sia in grado di provvedere alla propria rigenerazione.

In un disturbo non vi è un agente patogeno: non esistono il “virus della distonia” o il “batterio della dislessia”. Alla base di una difficoltà c’è un funzionamento “non-convenzionale” del corpo, soprattutto del sistema nervoso centrale, nel coordinare i pensieri (nel caso di dislessia, disfasia etc.) o i movimenti (nel caso della distonia).

L’immagine più comprensibile per spiegare il concetto di funzionamento “non-convenzionale” è quella che si usa per spiegare la dislessia: una persona non dislessica per collegare un pensiero A ad un pensiero B sceglierà un percorso che possiamo definire “in linea retta”, mentre un dislessico sceglierà una via che agli altri apparirà tortuosa.

Facciamo un esempio: nell’insieme QUADRATO – TRIANGOLO – RINOCERONTE – CERCHIO, la maggior parte delle persone riconosce che l’intruso è il RINOCERONTE, non essendo una figura geometrica. Un dislessico potrebbe dire che è il CERCHIO, in quanto è l’unica parola che non contiene la lettera “t”, oppure il QUADRATO perché è l’unica parola con un numero pari di lettere.

Possiamo dire che la possibile risposta del dislessico è sbagliata o che dimostra scarsa intelligenza? Certamente no. Possiamo però notare che non ha preso in considerazione l’opzione più ovvia ed ha cercato un collegamento che ad un non dislessico può apparire incomprensibile.

Possiamo anche notare (senza fare i soliti nomi dei celebri personaggi del passato che attualmente sono classificati come dislessici) che questa maniera di vedere il mondo in maniera “non-convenzionale” ha dato all’umanità una ricchezza che non sarebbe stata possibile solo attraverso il pensiero “convenzionale” (anche la mitologia dei distonici, come quella dei dislessici, ha i suoi divini padri, come Robert Schumann).

Come possiamo applicare questo discorso alla distonia?

La distonia, secondo le definizioni più diffuse, è una difficoltà del movimento caratterizzata da contrazioni involontarie e ridotto controllo muscolare. In sostanza la persona che ne soffre crede di dare un comando ad una parte del corpo (ad esempio di alzare un dito) ed ottiene un risultato inaspettato (ad esempio il dito non si alza, oppure si abbassa, oppure il dito che si alza è diverso da quello al quale pensava di aver dato il comando).

Possiamo parlare di distonia solo se il movimento è possibile, ad esempio senza lo strumento in mano (per proseguire con l’analogia con la dislessia, che si può invocare solo in presenza di un quoziente intellettivo medio-alto). Se il dito è paralizzato a causa di un danno neurologico che impedisce al nervo di portare il comando del movimento, o se il muscolo è lesionato a causa di un trauma fisico, non siamo più nell’ambito del disturbo del movimento, ma in una vera e propria patologia.

Dunque, se siamo in presenza di distonia, il movimento è possibile, ma quando serve la persona non è in grado di utilizzarlo al momento giusto.

Qualcuno ha ipotizzato che si possa trattare di un disturbo di origine psicosomatica, seguendo un ragionamento che sembra ineccepibile: se il movimento è possibile vuol dire che non ci sono patologie fisiche che lo impediscano, ed è quindi un problema psicologico. Ad esempio la causa potrebbe essere lo stress dovuto all’attività professionale del musicista, che richiede di essere sempre ai massimi livelli. Ma chiunque soffra di distonia sa che non basta trovare la tranquillità, ad esempio con una bella vacanza, per ritrovare la perduta libertà di movimento, nemmeno in minima parte.

Perché dunque il dito del nostro esempio non si alza al momento giusto, se è in grado di farlo in altri contesti? La complessità della risposta, racchiude anche la complessità delle soluzioni da adottare per uscire da questa condizione, così frustrante per il musicista, e la troveremo nel prossimo capitolo, dedicato al movimento.