IL RECUPERO DALLA DISTONIA FOCALE

© Alessandro Bares, 2019

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Tutti coloro che lavorano per aiutare i musicisti colpiti da distonia focale concordano su un punto: la soluzione è quella di “riprogrammare” gli schemi di movimento, in modo da renderli più efficienti, meno faticosi, più “naturali” (per quanto questo aggettivo abbia poca attinenza con il lavoro del musicista).

Riconosciuto il fatto che il problema nasce dal disequilibrio tra le forze in campo (nervi, muscoli forti, muscoli deboli, articolazioni, tendini etc.), resta il problema di come lavorare su questa macchina complessa che è il cervello, che ha il compito di coordinare ogni porzione di movimento.

Non siamo assolutamente in grado di intervenire direttamente sul cervello stesso. Non so nemmeno se augurarmi che l’uomo in un futuro lontanissimo possa esserlo.

La Natura ci ha però fornito una capacità potentissima, che peraltro usiamo quotidianamente, ventiquattro ore al giorno, fin da quando fluttuiamo beatamente nel sacco amniotico: l’apprendimento.

Cerchiamo però di capire cosa significa “apprendere”. Per ragioni di tipo culturale, siamo abituati a concepire l’apprendimento come un percorso intellettuale: leggiamo un libro ed apprendiamo che i vegetali sono autotrofi e gli animali sono eterotrofi, che Napoleone è morto nel 1821, che Petrarca ha dato la sua forma definitiva al sonetto italiano. Per attuare questo genere di apprendimento utilizziamo le nostre facoltà intellettive: leggiamo, mettiamo le nuove conoscenze in relazione con le conoscenze pregresse, ci informiamo sui termini o avvenimenti che non conosciamo, registriamo la nuova conoscenza che servirà come fertile terreno per le prossime.

Il percorso di apprendimento del corpo non è così lontano, ma le informazioni che accogliamo, elaboriamo e registriamo non passano dalla parte razionale del cervello, bensì dalla parte sensoriale, quella cioè che riceve gli stimoli attraverso i cinque sensi. Il corpo apprende guardando, ascoltando, toccando, odorando e gustando.

Allo stesso modo dell’apprendimento intellettuale, l’apprendimento sensoriale accoglie la nuova “sensazione”, la mette in relazione con quelle già immagazzinate, decide se un certo movimento sia utile o inutile, gradevole o sgradevole, e poi la registra.

Tutti sanno che l’apprendimento intellettuale è possibile solo a certe condizioni, fra cui:

– la conoscenza della lingua nella quale l’informazione ci giunge: a me la più interessante delle informazioni non dirà nulla se mi viene presentata in arabo o in cinese (lingue di cui non conosco nemmeno una parola!)

– la concentrazione necessaria ad accoglierla ed elaborarla. Senza la necessaria concentrazione, nemmeno l’informazione più semplice può entrare nel bagaglio culturale. Vi è mai capitato di leggere l’orologio distrattamente e di conseguenza non saper rispondere a chi vi chieda che ora sia?

Le varianti sensoriali di queste condizioni sono:

– la capacità di entrare in comunicazione con il proprio corpo. Succede a tutti, ma in maniera estrema a chi soffre di distonia, di non rendersi conto della localizzazione delle proprie tensioni o addirittura della posizione di una parte del corpo nello spazio (i famosi “movimenti involontari” che caratterizzano il disturbo distonico). Ma su questo torneremo. La causa è la non-comprensione dei messaggi sensoriali provenienti dagli organi di senso.

– la rilassatezza di tutte le parti del corpo, senza la quale i messaggi sensoriali non arrivano al cervello o arrivano distorti. Immaginiamo di trovarci in un pub pieno di persone che parlano ad alta voce, con la musica ad alto volume: non saremo in grado di distinguere le parole del nostro amico, il quale sarà costretto ad urlare a sua volta perché possiamo sentirlo e comprendere il significato di quello che ci dice. Allo stesso modo quando i nostri muscoli sono generalmente molto tesi riusciremo a percepire i movimenti solo se molto grandi ed energici, non certamente quelli fini che fanno la differenza fra la nota intonata e la nota stonata del violinista, fra la sonorità limpida e ricca di armonici e quella imprecisa e piena di “soffio” del flautista.

Perché il recupero dalla distonia possa avvenire sono necessarie queste due condizioni di base, che si possono raggiungere in vari modi e con vari metodi. I metodi con i quali sono venuto a contatto personalmente sono lo shiatsu, il Feldenkrais, il Grinberg, il Rolfing, l’agopuntura, la tecnica Alexander (di questa ho solo sentito parlare, non l’ho provata direttamente). Sono certo che ne esistono molti altri, e che per ogni persona un metodo funziona meglio di un altro, a seconda della propria individualità, della propria motivazione, della propria disponibilità a cambiare le proprie percezioni e così via. Non ultimo, anzi forse al primo posto, la fiducia che la persona ripone in chi pratica una delle varie metodologie.

Il recupero dalla distonia sarà certamente agevolato (e questa è la mia esperienza personale) se, accanto agli esercizi specifici per il proprio problema, il musicista migliora la propria condizione fisica attraverso uno dei citati metodi o discipline o qualunque altro possa trovare utile, che si occupano del corpo in maniera diffusa. Una delle tante cose che ho imparato da mia figlia quindicenne (cintura nera di karaté) è che per tirare un pugno non si usano solo braccio e mano: il movimento parte dalla punta del piede opposto a quello che tirerà il pugno.

Tendiamo a dimenticare facilmente che un dito che non si alza o che non risponde al comando che gli diamo non è il problema, bensì la manifestazione di un problema che coinvolge il corpo nella sua interezza di entità fisica e mentale. Siamo così turbati dal fatto che la nostra esecuzione sia resa imperfetta dal mancato controllo di un dito che concentriamo tutte le nostre energie (e frustrazioni, e tensioni, e arrabbiature) in quella singola parte del corpo da non renderci conto che al giocatore più debole della nostra squadra stiamo mettendo uno zaino da 50 Kg sulle spalle e stiamo pretendendo che corra veloce come gli altri.

Essere in contatto con il proprio corpo significa essere in grado di percepirne le tensioni, di respirare sentendo l’ossigeno che si distribuisce nelle braccia, nella schiena, nelle gambe. In altre parole di attivare l’apparato sensoriale interno, che è lo stesso che ci fa sentire la sensazione di fame o di sazietà, che ci avverte attraverso il dolore della presenza di una sofferenza, di un’infiammazione, di un’infezione.

I neonati non sanno distinguere queste sensazioni: per loro lo stimolo della fame è un grande dolore, la sensazione di sonno è un grande disagio. Così piangono, urlano, finché questi segnali non cessano perché vengono nutriti o si addormentano. Con il tempo, allo stesso modo in cui imparano a camminare o a coordinare gli innumerevoli muscoli che servono per parlare, apprendono il significato di questi segnali ed iniziano a distinguere la fame dalla sete, il bisogno di andare in bagno, il sonno e così via.

Da adulti poi si impara a relativizzare le sensazioni interne: se ho fame e non è ancora ora di cena, so che posso resistere e che non morirò per questo; ho sonno ma devo assolutamente finire il lavoro in modo da poterlo consegnare domattina, e non importa se questa notte dormirò quattro ore anziché le solite otto.

Piano piano ci si abitua a non dare più peso ai segnali del corpo: se è ora di cena mangio anche se il mio corpo non me lo ha richiesto, se ho freddo non mi copro perché sto partendo per un viaggio e la giacca mi ingombra, sono molto stanco ma è importante che veda i miei amici questa sera, il mio braccio non ce la fa più ma devo assolutamente preparare l’audizione e quindi non posso smettere di studiare.

E così si apprende a dare più importanza alle esigenze imposte dalla parte razionale e si “inquina” anche la parte irrazionale (sono i famosi riflessi condizionati: il profumo di una bella pizza appena sfornata stimola la nostra fame anche se abbiamo mangiato da meno di un’ora!).

Il musicista professionista diventa un campione di questo “non ascoltare il corpo”: per lui conta solo il risultato sonoro. Il suo mondo è dominato del metronomo (sia quello fisico che fa tic-tac come un mostruoso orologio programmabile, sia quello delle proprie aspettative) e dalla macchinetta Korg (il terribile giudice che fa pendere la bilancia a sinistra se la nota è calante e a destra se la nota è crescente rispetto ad un non meglio specificato temperamento, frutto di calcoli teorici).

Questi due tiranni dovrebbero poi essere le guide verso il mondo dell’aspirazione artistica cui mira ogni vero artista, un mondo fatto di paragoni e di ricerca della perfezione. Il terreno di questo mondo ideale è poi la necessità materiale: se non suono al massimo livello nessuno mi offrirà lavoro, non guadagnerò e dovrò cambiare mestiere.

Io l’ho messa un po’ sul ridere, ma è una realtà molto drammatica, che può sfuggire facilmente di mano e trasformare una nota sbagliata in una tragedia dell’inconscio, poiché potenzialmente può fare la differenza fra essere il primo oboe di una grande orchestra e cercare lavoro come insegnante di una modesta scuola di provincia.

Per “sfuggire di mano” intendo dire che si perde il rapporto con la realtà del proprio corpo. Il musicista professionista tende a voler correre la gara di Formula 1 usando gli ultimi ritrovati della meccanica ma dimenticandosi di montare pneumatici adatti e di riempire il serbatoio di carburante. Un’amica osteopata mi ha raccontato di un trombettista che ha decisamente migliorato la propria sonorità quando si è convinto a presentarsi alle prove d’orchestra dopo una buona colazione anziché a stomaco vuoto.

Ma cosa dimenticano i musicisti professionisti? Ovviamente ognuno ha le proprie specifiche debolezze e manie ma, per fare un discorso generale, possiamo dire che dimenticano che un brutto suono deriva dal fatto che i muscoli (tutti i muscoli!) che concorrono a formarlo non sono ben coordinati fra loro; che una nota stonata è indice di scarso controllo dei muscoli (tutti i muscoli!); che il passaggio non agile e “sporco” è il risultato di una insufficiente coordinazione dei muscoli (tutti i muscoli!).

Come se ne esce? Ascoltando il proprio corpo. Faccio un esempio concreto: in presenza di una nota stonata cosa fa la maggior parte dei violinisti? Ripete il passaggio ponendo attenzione alla nota stessa, ricordandosi di mettere il dito più avanti se era calante o più indietro se era crescente. Il risultato è che il passaggio migliorerà… momentaneamente. Il giorno dopo probabilmente il passaggio tornerà ad essere impreciso, perché l’azione di correzione attuata è comparabile a chi asciuga il muro bagnato con uno straccio anziché sostituire il tubo che perde acqua all’interno del muro stesso.

Mi spiego meglio: se un musicista professionista stona una nota, non è certamente perché non sa dove si debba mettere il dito o che suono debba uscirne (in realtà questo è vero anche per la maggior parte dei principianti, se proporzioniamo le aspettative al livello di studio). La ragione è che il dito che deve toccare la corda nel punto esatto non ha abbastanza libertà di movimento per potersi appoggiare nel luogo preciso. E se il dito non ha libertà di movimento è perché il resto della mano glielo impedisce, caricandolo di tensione: basta una tensione anche minima per ridurre la precisione di un movimento! E se la mano è in una cattiva posizione è probabilmente dovuto al polso che per qualche ragione in quel passaggio si irrigidisce (o semplicemente è abituato a stare rigido, e in quel preciso passaggio fa sentire di più il proprio effetto negativo). E se il polso è rigido probabilmente è perché subisce l’azione di braccio e avambraccio. E così via.

Per proseguire con l’esempio del tubo che perde acqua nel muro, è evidentemente molto più complesso sostituire il tubo stesso rispetto ad asciugare il muro con uno straccio. Ma i risultati sono ben altri. Allo stesso modo reperire la causa fisica della nota stonata all’interno del complesso gioco delle tensioni e distensioni muscolari richiede molto più tempo che “mettere il dito più avanti”. Ma con ben altri risultati!

La soluzione “semplice”, non essendo efficace, procurerà all’esecutore un senso di instabilità che istintivamente cercherà di vincere nella maniera in cui il corpo reagisce normalmente alle sensazioni sgradevoli: usando più energia ed irrigidendo i muscoli.

Questo non significa che dobbiamo imparare a controllare ogni muscolo del nostro corpo coscientemente. Non credo che questo sarebbe possibile, e comunque basterebbe una piccola parte della tensione che ci assale quando dobbiamo affrontare un pubblico o una giuria di concorso per impedirci di avere un controllo totale.

Parleremo in maniera più dettagliata degli esercizi nel capitolo ad essi dedicato.

Per ora ci basta aver individuato le seguenti condizioni fondamentali, che possono portare ad un deciso miglioramento se non alla totale scomparsa della distonia:

– è necessario acquisire la capacità di percepire il proprio corpo

– è necessario saper individuare le tensioni muscolari e scioglierle

– è necessario interiorizzare che il problema al dito è solo la parte visibile di una disorganizzazione motoria molto più vasta

– è necessario interiorizzare che il cattivo risultato musicale è la conseguenza della disorganizzazione motoria della quale il problema al dito è la parte visibile.