LA MIA ESPERIENZA CON LA DF

© Alessandro Bares, 2019

La mia esperienza con la Distonia Focale dura da più di venti anni. Purtroppo non ho tenuto un diario delle varie esperienze che questa mia difficoltà mi ha obbligato a vivere e quindi questo capitolo si basa unicamente sulla mia memoria. Verrà inevitabilmente dato più risalto alle esperienze che mi hanno colpito di più, mentre altre saranno appena accennate o dimenticate.

Nemmeno della sequenza temporale sono molto sicuro: i molti tentativi si sono susseguiti senza un ordine logico. Semplicemente “le provavo tutte”. Quando qualcuno mi consigliava una terapia o una persona io semplicemente ci provavo, cercando ogni volta di pensare che sarebbe stata “la volta buona”.

Preferisco non fare i nomi delle persone e/o istituzioni in cui mi sono imbattuto nel mio percorso, con alcune eccezioni, perché in taluni casi potrebbe sembrare pubblicità negativa, e non è questa la finalità di questo capitolo.

L’unica vera finalità di questo capitolo è dare modo ai colleghi colpiti dalla DF di confrontarsi con la mia esperienza, riconoscere somiglianze e differenze rispetto alla loro affinché non si sentano soli e sappiano che le soluzioni per uscirne esistono.

Prima della diagnosi

La mia esperienza con la DF inizia verso i 25-26 anni, cioè verso la metà degli anni Novanta. Il sintomo più evidente, o meglio l’unico che io potessi riconoscere, era una grande stanchezza all’anulare sinistro che sopravveniva verso la fine delle prove in cui ero impegnato come violinista.

Era un periodo di grande entusiasmo perché mi trovavo all’inizio di una promettente carriera, o almeno questo era quello che speravo.

Mi parlarono di un medico che lavorava in un “Centro per la cura della mano” (o qualcosa di simile). Questo medico mi diagnosticò una epicondilite, cioè una forma di tendinite localizzata a livello di epicondilo. Era una diagnosi un po’ generica e “prudente”, nel senso che è facile dire ad un violinista che ha la tendinite. Chi non l’ha mai avuta? Ad ogni modo la cura con farmaci non cambiò nulla nelle mie difficoltà di movimento.

Successivamente mi consigliarono di andare da una persona che praticava l’agopuntura, che mi dignosticò una fibrosi a livello dei muscoli in prossimità del gomito sinistro. Toccandoli, effettivamente, si poteva notare un discreto irrigidimento della massa muscolare. Dopo alcune
sedute di agopuntura la fibrosi era diminuita, ed i miei muscoli tornarono ad avere più o meno la consistenza normale. Ma la mia difficoltà di movimento non era cambiata.

Successivamente tentai con la omeopatia. L’omeopata di diede una dieta, o meglio mi proibì alcuni cibi come latticini, carne rossa e impasti lievitati, dicendomi: “Poi per la tendinite fai degli impacchi di canfora”. Naturalmente non ci fu alcun miglioramento, nonostante la dieta ed i maleodoranti impacchi di canfora.

Tentai con lo shiatsu. Le sedute erano deliziose: uscendone sentivo un grande senso di pace e rilassamento. Ma la difficoltà di movimento non ne era influenzata in alcuna maniera.

La diagnosi

Verso la fine degli anni Novanta feci la conoscenza del dott. Renzo Mantero, considerato uno dei luminari della chirurgia della mano, autore fra l’altro di un saggio sulle mani di Paganini. Egli mi consigliò tornare da lui dopo aver effettuato una radiografia, una elettromiografia
ed una TAC del rachide cervicale. Così feci, e quando tornai la diagnosi fu quasi immediata: distonia focale. Che, tradotto, significava: gli esami non evidenziano patologie a carico di muscoli, tendini, nervi e sistema scheletrico.

Con mia somma delusione mi disse che lui non poteva farci nulla (ovviamente, trattandosi di un chirurgo!), ma mi consigliò di andare da un neurologo che stava iniziando studi clinici sulla distonia focale. Dopo aver constatato che i valori del mio esame del sangue erano nella norma mi sottopose ad alcune prove delle quali sul momento non capii l’utilità, ma che ora riesco ad interpretare.

Quella che ricordo meglio è una prova nella quale io suonavo il violino per qualche minuto, fino ad arrivare alla sensazione di grande stanchezza del dito incriminato. Dopodiché dovevo stringere nella mano sinistra un oggetto formato da due manici, simili a quelli di una cesoia, che offrivano una grande resistenza grazie ad una potente molla. Dopo alcuni minuti di questo sforzo statico dovevo tornare a suonare il violino e verificare che il dito funzionava meglio.

Questa e altre prove simili, di cui non ricordo i dettagli, convinsero il neurologo che effettivamente si trattava di DF.

La parte agghiacciante fu sentirmi dire che avrei fatto meglio ad appendere il violino al chiodo. Per vari mesi mi sentii arrivato al capolinea.

L’ortopedico

Sentivo che le cartucce della medicina ufficiale erano state sparate tutte, e così poco a poco mi inoltrai nel cammino delle pratiche alternative.

Mi parlarono di un ortopedico che aveva uno studio in Germania, la cui caratteristica era che era stato violinista in gioventù, e che quindi abbinava la pratica medica alle conoscenze tecniche relative allo strumento.

Mi sembrò un raggio di luce: con lui facevo lezione di violino, i suoi assistenti mi facevano massaggi e mi insegnavano esercizi per rinforzare il dito debole. Ostentava un grande sicurezza nel sostenere che la distonia focale non esiste, che dai miei esami clinici non risultava nulla di strano e che si trattava solo di imparare una tecnica migliore. Mi convinse anche a farmi togliere
i quattro denti del giudizio perché secondo lui la cattiva occlusione della bocca contribuiva ai problemi di movimento.

Mi convinse anche ad usare una spalliera per il violino che si adattava così bene alla forma della spalla da non rendere necessario alcun movimento della spalla che così, secondo lui, poteva rimanere rilassata.

Mi applicai molto ad imparare la nuova tecnica ed a fare gli esercizi con le dita. Dicevo ai miei amici che ormai era fatta, che si trattava solo di integrare bene il nuovo sistema e l’incubo sarebbe finito. Ma l’incubo non finì. Forse addirittura peggiorò.

Sul momento fu un momento di grande depressione, ma ora ho capito che non poteva funzionare. Le ragioni che posso individuare adesso, ripensando bene a quelle due interminabili e costosissime settimane, sono:

    • non è vero che la DF non esiste, anche se ancora non sappiamo esattamente di cosa si tratti. Il fatto di negarne l’esistenza ci porta ad attribuire la difficoltà ad una causa fisica, che normalmente non esiste o è secondaria alla DF
    • gli esercizi di rinforzo del dito erano concentrati su muscoli che non potevano sostenerli. Così facendo non si faceva altro che aumentare le tensioni della mano, dal momento che l’eccessivo sforzo veniva sopportato dai muscoli delle altre dita. In ultima analisi questi esercizi aggravavano il problema, anziché risolverlo
    • si identificava il problema nel movimento del dito, anziché capire che il problema riguarda tutta la mano, il polso, il braccio e tutto il corpo.
      La soluzione non è quella di caricare più lavoro sul muscolo debole, bensì di distribuire meglio il lavoro della mano/polso/braccio/corpo e permettere
      al muscolo debole di fare quello che può, nelle migliori condizioni possibile
    • la famosa spalliera che impedisce il movimento della spalla è esattamente il contrario di quello che serve, cioè la mobilità. Quando immobilizziamo una parte del corpo la condanniamo fatalmente ad una tensione costante
    • i massaggi sono una buona idea, ma non possono essere generici. È vero che, come si dice, “tutto fa brodo”, ma per sciogliere contratture accumulate in anni di DF bisogna lavorare in maniera mirata, muscolo per muscolo

La parte positiva fu che iniziai a pensare che dovevo essere io a risolvere il problema, e che non avrei trovato qualcuno in grado di darmi la soluzione. Anche l’attenzione alla tecnica violinistica fu un fatto positivo: impiegai molti anni a capirlo, ma ero io, con i miei movimenti, che potevo migliorare o peggiorare la situazione.

Lo psicologo

Un’amica mi disse che aveva superato un momento pessimo nella sua vita grazie all’aiuto della psicologia. Con l’aiuto della psicologa aveva individuato un trauma non risolto legato alla sua insegnante di strumento che influenzava negativamente alcuni movimenti e di conseguenza la resa artistica. La parte interessante era che la risoluzione di questo trauma aveva fatto sparire le difficoltà di movimento.

E così mi buttai a capofitto. Contattai la stessa psicologa, di cui mi aveva parlato così bene, e pensai che sarebbe stata una cosa lunga, ma alla fine ne sarei uscito.

Dopo poche sedute, però, la signora in questione mi disse che non trovava nulla su cui lavorare, e mi disse che uno psicologo uomo forse avrebbe potuto capirmi meglio. Io sentii la stessa frustrazione di quando mi dicevano che gli esami clinici non evidenziavano nessuna anomalia. Ma contattai lo psicologo che la signora mi aveva segnalato. Un’ottima persona. Mi sentivo molto bene. Ma, nonostante quattro anni di colloqui settimanali, non saltò mai fuori “il” problema da risolvere. Ed io mi convincevo sempre di più che le mie emozioni negative erano legate alla DF, non che la DF fosse provocata da introvabili traumi non risolti.

Così lasciai perdere anche la psicoterapia.

Ora penso che l’aiuto di uno psicologo potrebbe aiutare durante il recupero dalla DF per trovare le energie positive necessarie per affrontare il percorso e per accettare più facilmente i momenti difficili il recupero implica inevitabilmente. Potrebbe aiutare anche a tenere la mente aperta, evitando di fare dipendere tutta la propria vita dalla difficoltà di movimento, poiché nemmeno questo aiuta a recuperare prima.

I massaggi Furter

Altro consiglio di amici: la tecnica Furter.

Non conosco bene questo metodo. Quello che ho imparato è che attraverso il contatto con la parte esterna del corpo cura le parti interne.

In maniera concreta, il terapeuta mi praticava dei massaggi mirati alle zone dove i muscoli risultavano duri (fibrotici) al contatto. La parola “massaggi” può essere fuorviante, perché erano estremamente profondi e dolorosi. Il terapeuta mi spiegava che quando il muscolo resta contratto a lungo e non riesce più a distendersi costruisce una specie di guscio di calcare intorno alla zona interessata per proteggersi. Lo scopo di questi massaggi era quello di rompere il guscio di calcare e di liberare le fibre del muscolo che, una volta ripresosi dall’ecchimosi provocata dal trattamento, riprende la sua normale funzionalità.

È un rimedio che non influisce sulla DF, ma può essere di grande utilità. Il vero punctum dolens, è proprio il caso di dirlo, è che è estremamente doloroso. Se siete persone che, come me, sopportano il dolore fisico senza troppa difficoltà è un metodo da prendere in considerazione.

Ribadisco, non serve per migliorare nella DF. Ma quando sentiamo i muscoli molto contratti (solitamente a causa della DF) è un metodo davvero radicale ed efficace perché possano tornare alla loro piena funzionalità.

Con un po’ di pratica si impara anche a riconoscere le contratture con un semplice contatto della mano.

Il metodo Feldenkrais

Sempre su consiglio di colleghi provai il metodo Feldenkrais. Come dice il sottotitolo del libro di Moshe Feldenkrais, è un metodo che aiuta le persone a conoscere se stessi attraverso il movimento.

C’è molta informazione in internet su questo metodo. Nella mia esperienza si è rivelato essere uno dei “mattoncini” che mi hanno aiutato a costruire il mio “metodo” per uscire dalla DF.

In maniera concreta, dalle lezioni di Feldenkrais ho imparato a percepire il movimento del corpo. Ho anche imparato il concetto di “qualità del movimento”, cioè quella particolare attenzione che ci permette di sentire se il movimento che facciamo è fluido o se ci sono discontinuità dovute a rigidità muscolare.

Ho inoltre imparato a gestire le minime tensioni che caratterizzano quasi ogni nostro movimento.

Non è stato un metodo risolutivo nel mio caso, ma molti dei suoi insegnamenti sono entrati nel mio insegnamento relativo alla DF e nell’insegnamento “normale”.

Il Rolfing

Anche sul Rolfing c’è molto materiale nel web.

Alla grossa possiamo dire che è un trattamento, suddiviso in 10 lezioni, il cui scopo è recuperare l’equilibrio del corpo, in modo che la colonna vertebrale non sia più sottoposta ad un lavoro eccessivo causato dal fatto non essere “in asse”.

Per raggiungere lo scopo il terapeuta lavora molto sul tessuto connettivo il quale si riattiva permettendo ai muscoli di “risvegliarsi”. Mi è sembrato un metodo molto valido, sia nell’aspetto del ritrovare l’equilibrio del corpo, sia in quello della riattivazione muscolare, e mi è sembrata una buona preparazione al metodo MusiReset.

MusiReset

Tutta l’informazione sul MusiReset si trova nel sito www.masavoi.com.

L’inventore del MusiReset, Elmar Abram, ha avuto un’intuizione che a mio parere è vincente: lavorare con esercizi mirati sul sistema nervoso periferico per insegnare al sistema nervoso centrale come “riprogrammare” gli schemi di movimento.

Da quando ho conosciuto questa tecnica o, meglio ancora, intuizione di fondo, ho capito che davvero potevo uscire dal tunnel della DF.

Per questa ragione ho adottato i principi generali MusiReset come base per la mia propria riabilitazione e per quella dei miei colleghi.

Sia chiaro, però: non sono un operatore del metodo MusiReset, che è un marchio registrato ed appartiene al sig. Abram.

Come da ogni altra esperienza ho preso quello che sono stato in grado di assimilare, l’ho elaborato in maniera personale e l’ho integrato nel mio percorso di uscita dalla DF.

Il metodo Grinberg

Anche sul metodo Grinberg si può trovare l’informazione nel sito ufficiale: www.grinbergmethod.com.

È stata una delle scoperte più entusiasmanti del mio percorso.

L’intuizione di Avi Grinberg è stata quella che sentimenti comuni come paura e dolore, generalmente considerati negativi e quindi da evitare, si potessero trasformare in enormi fonti di energia. Gli operatori Grinberg ti parlano della tua personalità osservando la pianta del piede e individuano i punti del corpo in cui si annidano le emozioni dolorose. Il lavoro, condotto con grande attenzione ad una respirazione molto profonda, tende ad usare i punti dolorosi per diffondere energia al corpo e così risolvere molte problematiche, tanto fisiche quanto psicologiche.

Potrei dire che la pratica congiunta degli esercizi imparati con il MusiReset ed il Feldenkrais, del Rolfing e del Grinberg è stata la miscela vincente del mio recupero dalla DF.