GLI ESERCIZI

© Alessandro Bares, 2019

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Non è possibile in questa sede parlare di esercizi specifici, dal momento che ogni persona ha le proprie esigenze e difficoltà e, onestamente, descrivere a parole degli esercizi fisici è molto difficile. In particolare si può descrivere più o meno il “cosa” fare, ma sul “come” farlo non si può che essere generici, sempre perché ogni persona ha specifiche necessità e difficoltà.

Ed il “come” è così importante che lo stesso esercizio può essere utile, inutile o dannoso a seconda di come viene eseguito.

L’abilità del terapeuta non consiste nel conoscere a memoria un protocollo di movimenti predefiniti (metodo semplificatorio purtroppo molto usato ed abusato con pretesa di essere “scientifico”!). Il punto essenziale è la sensibilità del terapeuta che deve essere in grado di ricavare gli esercizi dalla persona che sta aiutando, dalle sue difficoltà, dalle sue abilità.

La buona notizia è che per uscire dalla distonia focale non sono necessari sforzi sovrumani, né cure con effetti collaterali devastanti. Le qualità richieste sono una determinazione incrollabile, una grande pazienza, molta costanza, e, soprattutto, il desiderio di rimettersi in gioco, accettando concetti dimenticati come “fermarsi quando si è stanchi”, “il riposo può essere più utile di una grande quantità di esercizi fatti male” e così via.

Un concetto essenziale da interiorizzare è quello di “repertorio di movimenti” al quale il corpo possa attingere per ottenere lo scopo desiderato.

Crearsi un repertorio di movimenti significa insegnare al cervello che esistono schemi di movimento diversi da quelli (totalmente o parzialmente inefficaci) utilizzati fino ad ora.

Ma come si insegna al cervello? L’unico modo è “fare”. I movimenti non vanno “pensati”, né tanto meno vanno “giudicati”: vanno “fatti”. Ci sono almeno due difficoltà da superare:

– escogitare movimenti estranei alle nostre abitudini motorie è meno semplice di quanto possa sembrare; si tende a ripetere, a volte con minime varianti, i movimenti consueti

– per molti è difficile rinunciare a pensare “Questo movimento non mi serve per suonare” oppure “Ma così non riuscirò mai a suonare” oppure “Ma nessuno suona con questa posizione”. In altre parole dobbiamo riuscire a rinunciare al “giudizio” (buono/cattivo, utile/inutile) e inventare liberamente nuovi movimenti.

Perché i nuovi movimenti possano essere acquisiti ed accettati bisogna però che diventino piacevoli. Il corpo ricerca le sensazioni di piacere e comodità che, tradotto in termini “fisici”, significa: movimenti privi di fastidiose tensioni e sensazione di stabilità.

Come abbiamo visto nel capitolo sul recupero dalla distonia focale, non è banale riconoscere queste sensazioni, a causa della non-abitudine ad ascoltare il proprio corpo (l’orrendo termine scientifico è “propriocezione”). È importante inoltre che questi movimenti riguardino tutto il corpo, senza dimenticare piedi, gambe, bacino, schiena, spalle e collo.

Ed è altrettanto importante impegnarsi a fondo per avere la più grande fantasia nell’inventare movimenti, anche apparentemente inutili. Non dimentichiamo mai che anche il movimento che ci appare più semplice è in realtà una combinazione molto complessa di un’infinità di movimenti, ognuno caratterizzato da un certo grado di rigidità o morbidezza sapientemente dosati dal cervello (quando le cose vanno bene…).

Più nello specifico gli esercizi che il terapeuta deve saper ricavare dalle persone che sta aiutando sono di tre tipi diversi:

– propriocettivi, tesi cioè ad insegnare alla persona a rendersi conto del proprio corpo, delle tensioni muscolari, dei riflessi condizionati (molte persone, fra cui il sottoscritto, esprimono uno stato di tensione quando semplicemente prendono in mano il proprio strumento). Il tatto aiuta moltissimo: spesso basta sfiorare la parte del corpo sulla quale si vuole che la persona concentri l’attenzione perché il suo cervello possa “trovarla” e gestirla (ad esempio aumentando o diminuendo il livello di tensione)

– sensoriali. Sono gli esercizi nei quali la persona impara a “sentire” soprattutto attraverso il tatto. Può sentire il contatto con il legno del violino (ogni parte dello strumento: riccio, manico, tastiera, cassa armonica, fondo, fasce e così via), con le corde (una per una) del violoncello, con l’avorio o la plastica che ricopre i tasti del pianoforte, i fori da coprire del clarinetto, le diverse chiavi del flauto etc. Il punto di contatto privilegiato è il polpastrello delle dita, ma, laddove sia possibile, ogni parte della mano può beneficiare di questo approccio. Ad esempio sulla tastiera del pianoforte è possibile percepire il materiale di cui è fatta con il polpastrello, con ognuna delle falangi (da sopra e da sotto), con il palmo, con il dorso, con il polso.

– muscolari. Si tratta dei classici esercizi di muscolatura, ma con una variante di estrema importanza: aumentare il tono muscolare è solo una delle variabili da prendere in considerazione. Lo scopo ultimo di questi esercizi è quello di equilibrare la tonicità dei muscoli, che con ogni probabilità nella persona che soffre di distonia sono assai disequilibrati: alcuni risulteranno eccessivamente tonici (fuori controllo perché troppo rigidi) ed altri, che da molto tempo non vengono utilizzati, saranno troppo deboli ed andranno rinforzati. Si tenga presente un dettaglio della massima importanza: non stiamo parlando di muscoli con la potenzialità dei bicipiti o dei quadricipiti, bensì di un gran numero di muscoli di dimensioni ridottissime. Di conseguenza gli esercizi devono essere appropriati alla loro capacità di sviluppo.