COSA HO IMPARATO DALLA MIA ESPERIENZA CON LA DF?

© Alessandro Bares, 2019

Se avete letto tutti i capitoli che si trovano in questo sito, dovete essere sicuramente molto stanchi.
Quindi cercherò di concludere nella maniera più schematica possibile.

La mia esperienza con la DF è stata lunga ed estremamente dolorosa. Per quanto sia difficile operare una serena e tranquilla riflessione su eventi così dolorosi, ho sempre cercato di ricavare degli insegnamenti utili per me e per chi mi sta intorno da ogni avvenimento della mia vita.
Per questa ragione desidero condividere anche questa parte del mio percorso, sebbene sia difficile distinguere ciò che ho imparato grazie all’esperienza della DF da ciò che altri aspetti della mia vita mi hanno offerto.

    • Ho iniziato a conoscere davvero i miei limiti.
      Questo proprio non lo sapevo fare: la conoscenza dei miei limiti non era
      assolutamente nel mio repertorio. La DF mi ha messo i miei limiti davanti agli occhi in una maniera addirittura drammatica.
      Accettarli è stato difficilissimo. Mi sembravano limiti imposti da una assurda cattiveria di qualcuno a cui non avevo mai fatto del male.
      Mi sembravano “ingiusti”, e che non avevo fatto niente per “meritarmeli”.
      Ora ho capito che sono miei, che fanno parte di me, anche se non mi piacciono. Non sono “giusti” o “ingiusti”. Sono. E basta.
      Ed io posso vivere con questi limiti, e posso cercare di gestirli. Ognuno di noi vorrebbe allargare i propri limiti. Il primo passo è accettarli. Se non si accettano è impossibile intervenire. In fondo ci vuole più coraggio ad accettare i limiti che a cercare di superarli.
    • Ho imparato a non giudicare.
      Esattamente come i limiti non sono né “giusti” né “ingiusti”, così non lo sono le difficoltà, le scelte, i gusti. Ho imparato che giudicare non porta a nulla. Quando si impara un movimento, non importa se è giusto o sbagliato. Lo si è imparato, e d’ora in poi farà parte del nostro bagaglio. Può darsi che serva in futuro e può darsi che no. Ma intanto abbiamo arricchito il nostro repertorio. Lo stesso vale per le persone e per le situazioni della vita. Non importa che condividiamo le opinioni dell’altro.
      In ogni caso ci arricchiamo, magari proprio per contrasto con le sue opinioni. Sostituire il “bene / male” o il “bello / brutto” con “mi piace / non mi piace” o “sono d’accordo / non sono d’accordo” relativizza il nostro pensiero e ci dà la possibilità di cambiare opinione senza sentirci vincolati alla necessità di essere rigidamente coerenti.
    • Ho imparato a non giudicarmi.
      Ho il diritto di non essere come gli altri vorrebbero che fossi. Ho il diritto di non essere come vorrei. Ho diritto ai miei sentimenti.
      Ho il diritto di sentirmi male, anche se gli altri non capiscono il perché. A volte nemmeno io capisco il perché. Ho diritto ai miei errori, passati, presenti e futuri. Non ho il diritto di essere arrogante, o di incolpare gli altri per le mie miserie. È sottile il confine tra il diritto mio di essere ed il dovere di non invadere il diritto degli altri. Ma ci si può esercitare costantemente.
      Le condizioni estreme, in cui una difficoltà come la DF ti avvinghia, danno la possibilità di esercitarsi quotidianamente a rispettare i diritti, sia i tuoi sia quelli degli altri.
    • Ho imparato che non esistono torto e ragione.
      Esistono i punti di vista. Spesso cambiare il punto di vista risolve il problema che sembra insolubile. Non è necessario che il nuovo punto di vista abbia una giustificazione preventiva: anche i punti di vista che inizialmente sembrano assurdi ed inconcludenti possono darci l’informazione necessaria per venire a capo di un problema.
    • Ho iniziato a riconoscere i miei desideri.
      Sembra facile, ma distinguere ciò che desideriamo in maniera generica da ciò di cui abbiamo una necessità assoluta è tutt’altro che banale.
      Quando ho smesso di suonare il violino, pensavo che mi sarei potuto costruire un’altra vita, un’altra carriera. Mi stavo costruendo delle alternative: la casa editrice, il canto, la direzione d’orchestra. Chissà, forse se qualcuna di queste avesse avuto un successo travolgente le cose sarebbero andate diversamente. Ma l’orribile sensazione di essere un fallito a causa della DF, che mi aveva colpito proprio dove avevo investito di più, non mi dava pace. Dovevo uscirne, sebbene in molti momenti cercassi di convincermi che si poteva vivere anche
      senza suonare il violino.
      Ma allora perché, adesso che potrei, non studio tre ore al giorno il violino? Suppongo che la ragione risieda nel fatto che il mio reale desiderio non fosse esclusivamente legato al violino. Certo, quando suono mi sento bene, ma quello che volevo davvero era dimostrare a me stesso che non ero un fallito, che la DF non era un mostro partorito dalla mia immaginazione ma una sfida da superare.
    • Ho imparato ad ascoltare il mio corpo.
      Avevo sempre avuto una certa diffidenza nei confronti delle persone che davano retta al proprio corpo. Pensavo: se c’è da lavorare non si può essere stanchi! Non importa se si muore di caldo o se ho le dita congelate, la registrazione si deve fare e portare a termine!
      La DF mi ha insegnato che quell’atteggiamento, anziché stimolare la produttività, non fa altro che mettere i bastoni fra le ruote.
      Ma bisogna capire bene cosa significa “ascoltare il proprio corpo”.
    • Non significa, come pensavo io, che se sono stanco, o se ho freddo, o se ho caldo mi devo tirare indietro. È vero che ci sono persone “molli” che si ritirano non appena le condizioni non siano quelle ritengono ottimali.Quello che voglio dire è che il contatto ed il dialogo con il corpo deve essere attivo: sono stanco ma devo continuare ugualmente? Ho freddo ma i microfoni sono lì accesi ad aspettare che suoni? Va bene. Ne prendo atto, e cerco attivamente tutte le soluzioni possibili per migliorare la mia situazione.
      Spesso basta alleggerire un po’ l’ambiente, oppure proporre una pausa, oppure usare una diteggiatura diversa. Ci sono mille modi per migliorare le situazioni. Ignorare le difficoltà non aiuta a superarle.
    • Ho imparato ad insegnare.
      Di questo sono davvero convinto: ora vedo una persona suonare, e sento dentro di me ogni suo movimento, ogni sua difficoltà.
      E quindi riesco a formulare il consiglio tecnico che va nella direzione di un miglioramento.